Giro delle Fiandre 2019

Kapelmuur

“Una cosa divertente che non farò mai più” è il titolo di un libro che ho letto qualche anno fa di David Foster Wallace, la trama ora non è rilevante ma questa è la frase che mi è venuta in mente dopo una manciata di discese dai muri delle Fiandre. Poche cose sono così ostiche per la bici e per il ciclista, una cosa è il pavè nostrano o il porfido ben distribuito, un’altra invece quelle pietre sconnesse distribuite a caso sul percorso, la bici saltella impazzita e tutto il corpo segue come in preda a spasmi incontrollabili, i primi muri sono un’inferno per chi non è abituato, poi man mano ci si prende la ‘mano’ e li affronti con piglio più deciso ma comunque inferno rimangono.

Visti da qui verrebbe da pensare che in fondo è poca roba, salitelle sparse qua e la su un percorso completamente piatto ed in fondo è proprio così ma poi una volta lì ti accorgi di desiderare di essere sullo Stelvio, o sul Mortirolo, persino il colle delle Finestre me lo ricordavo più morbido. Salite lunghe si ma costanti, che ti accompagnano fino in cima basta prendere il ritmo, qui invece no, le “salitelle” ti tagliano le gambe perchè sono tante, sono ripide ed è difficile prendere le misure per affrontarle con costanza. Il pavè rallenta sia la salita che la discesa e ti fa sobbalzare, stai sui pedali con le gambe che tremano e le braccia che si indolenziscono per lo sforzo nello stringere manubrio e freni. Come se non bastasse, sei accompagnato da circa 16000 altri ciclisti come te che ti arrivano da ogni parte, con ogni tipo di bici e che parlano tutte le lingue del mondo. Quando li senti urlare al malcapitato di turno di spostarsi dalla corsia dei più veloci e tenere la destra in qualche modo lo intendi, che la lingua mica la capisci ma l’intonazione urlata si, il linguaggio del ciclismo è universale.

Una cosa divertente che non farò mai più fino alla prossima occasione quindi, quei sassi sconnessi sparsi qua e la sulla strada, quei paesaggi rilassanti e quella bandiere gialle e nere con un leone in mezzo già mi mancano. ( Estratto dall’articolo per Peloton Magazine – Paolo Ciaberta )